Prima di tutto analizziamo brevemente la storia della lingua Aramaica che nacque verso la fine del II° millennio a.C. in Mesopotamia, più precisamente nella fertile vallata del Padan-Aram nei pressi del Beth Nahreen (zona tra i due fiumi), luogo di residenza dei discendenti di Aram, nipote di Noè (secondo la Bibbia) e diventando via via la lingua più parlata dall'Egitto all'odierno Pakistan.
Essendo una lingua facile ma anche molto semplice da scrivere fu adottata da tutte le classi sociali: da Aramei, Assiri, Caldei, Ebrei, Siriani e Persiani.
- Ancor oggi molte comunità del Vicino e Medio Oriente fino all'Australia e Stati Uniti la parlano regolarmente anche a dispetto dell'obbligo imposto dai governanti arabi -
Con le deportazioni delle Tribù di Israele da parte degli Assiri nel 721 a.C. e poi successivamente nel 587 a.C. da parte del Re caldeo Nabucodonosor, quando questi tornarono finalmente in Palestina (liberati grazie a Ciro, re di Persia) ormai parlavano l'Aramaico, sia nella variante Assira che quella Caldea -lingua parlata fino a tutto il VII° sec.d.C.-; questo prova chiaramente che anche Gesù di Nazareth, i suoi Apostoli, i suoi seguaci e tutti i suoi contemporanei parlassero questa lingua, specialmente quella del Nord e/o dell'Est.
E' interessante notare come la fraseologia e gli idiomi utilizzati nei Quattro Vangeli (Marco, Matteo, Luca e Giovanni) siano prettamente aramaici e di provenienza dell'Est: <in verità, in verità, vi dico...> - <in quei giorni....> - <ed ecco...> - <Egli disse loro...>.
.
Le Storie di Gesù – ma non la
sua vita - raccontate nei Vangeli, anche se in perfetta armonia con
l'epoca e con gli schemi di pensiero esistenti nella sua terra
d'origine, ci offrono un ritratto parziale della sua figura poiché
vennero scritti dopo la sua morte, a distanza di decine e decine di
anni, per ricordare le sue parole e le sue azioni, usando concetti
che potessero venir compresi da tutti come negli scritti di Luca e
Matteo.
Bisogna sottolineare che in quei secoli
non erano importanti i “dettagli” sulla storia della vita
di un grande uomo, ma ai più interessavano, in particolare, gli
“insegnamenti” ricevuti da costui e gli effetti che questi
avevano sulla loro vita.
Gesù non andò mai alla ricerca di
seguaci, ma era Lui ad andare e a parlare fra la gente … non
pensava certo di creare una nuova religione o di avere poteri
soprannaturali !!
QUEL CHE LEGGIAMO OGGI sulle storie
della sua Nascita, Morte e Resurrezione sono le aggiunte Teologiche
e Cristologiche postume, fatte dagli scribi ecclesiastici durante la
compilazione e l'adattamento dei Vangeli.
Tutto questo ha favorito il fatto (e son
quasi tre secoli ormai) che gli studiosi “dotti
e non” di tutto il mondo, si dibattano fra documenti e
reperti archeologici, fra collegamenti storici da datare
con esattezza e ... discussioni animate per….. CAPIRE CHI FOSSE
VERAMENTE L'UOMO GESU' !
Molte
delle parole aramaiche attribuite a Gesù sono state fraintese,
perdendo a volte anche il loro significato originale, per colpa delle diverse traduzioni ed interpretazioni.
Vediamone alcune:
YESHUA = nome ebraico di Gesù.
Scritto
al completo sarebbe YEHOSHUA.
Nel
dialetto aramaico della Giudea del Nord del I°sec. era un nome
comune e YESHU, derivante
dal nome del grande eroe biblico JOSHUA, figlio di Num, fu usato
comunemente prima dell'esilio babilonese.
BAR-NASHA = tradotto come “figlio dell'uomo” (?)
Perché
il punto di domanda?
Perché
nei 3 linguaggi semitici più importanti: aramaico, ebraico ed arabo
ha il significato di “uomo o essere umano”.
E
Gesù si definiva proprio così: un essere umano! e non, come interpretato dai Vangeli da chi non conosceva
perfettamente il linguaggio aramaico, come: figlio dell'uomo.
La
parola BAR
(figlio) unita ad un altro termine cambia di significato; in questo caso, con NASHA (uomo) sta ad indicare la
somiglianza, la similitudine.
BAR-ABBA
= figlio del padre (?) in realtà si traduce come: “somiglia
a suo padre”.
BAR-GARA = figlio del tetto (?) si traduce come “pazzo”
BAR-ZANGA = figlio del giogo (?) si traduce come “amico,
compagno”
BAR-HILA = figlio del potere (?) si traduce come “soldato”
BAR-YOLPANA
= figlio dell'istruzione (?) si traduce come “discepolo”
BAR-D'ALAHA = figlio di Dio (?) può avere molti significati: orfano, persona
mite, buona, gentile o pacificatrice, secondo il contesto in cui si
trova nei vari passaggi della Bibbia e non come "figlio di Dio" ma
piuttosto con il significato di “persona
relazionata (spiritualmente, per amore o rispetto) a Dio.
Nel
linguaggio orientale si usa chiamare semplicemente “figlio”
o “figlio mio”
la persona a cui si porta affetto e rispetto o quando l'intimità
poetica (tipica orientale) o l'immaginazione è in rapporto con Dio.
Altre due espressioni da chiarire:
EHEDAYA = unico figlio generato da Dio (?) - dal Vangelo, secondo Giovanni –
definizione tradotta dalla parola greca “monogens”.
Ma
la parola aramaica significa “unico erede” o “l'amato”e si
traduce dunque come “l'unico figlio amato”,
termine che Giovanni usa per rivolgersi a Gesù nel modo tenero ed
affettuoso tipico dei suoi tempi.
M'SHEEHA =
Messia
E'
la parola aramaica che significa “prescelto”
o “messia”
o “unto”
ed è un Titolo, non un nome, che in greco viene tradotto in
Christos.
Solo
dopo la morte di Gesù questo termine diventa un nome proprio e Gesù
di Nazareth diviene Gesù il Cristo (l'Unto), poiché secondo le
scritture ebraiche i Re, i Sacerdoti e qualche Profeta venivano
cosparsi di Olio Sacro quando svolgevano le loro funzioni.
L'atto
di ungere il capo è un rito molto antico che designava il
trasferimento dei Poteri Divini sulla persona che diveniva così
l'Unto del Signore, cioè il Figlio adottivo, ovvero il Messia.
Nonostante tutto, Gesù, semita e uomo tra gli uomini,
continua a parlare attraverso
tutte le Epoche.
©Libero
adattamento estratto dal testo:
"Let There Be Light, the Seven Keys", 1994 di Rocco A. Errico
"Let There Be Light, the Seven Keys", 1994 di Rocco A. Errico
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